Governance climatica: contesto, sfide e prospettive

Le basi della governance climatica internazionale sono state gettate nei primi anni ’70, in occasione della storica Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente Umano tenutasi a Stoccolma nel 1972. Considerata il primo evento globale a collegare ambiente e sviluppo, la conferenza affrontò tematiche cruciali come la deforestazione, la desertificazione e la scarsità d’acqua. Fu l’inizio ufficiale della governance climatica su scala globale. Negli anni successivi, concetti come la sostenibilità hanno iniziato a prendere forma anche sul piano giuridico. Nel 1987, la Commissione mondiale su ambiente e sviluppo pubblicò il Rapporto Brundtland, che definisce lo sviluppo sostenibile attraverso tre principi fondamentali:

  1. Integrità degli ecosistemi
  2. Uso sostenibile delle risorse
  3. Equità sociale

 

Il sostegno istituzionale alla governance ambientale si è rafforzato con i vertici della Terra di Rio de Janeiro (1992) e Johannesburg (2002), l’avvio degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio e, nel 2015, la loro evoluzione nell’Agenda 2030. Gli obiettivi di sviluppo sostenibile  affrontano una vasta gamma di tematiche, tra cui: 

  • Protezione dell’ambiente e lotta al cambiamento climatico
  • Salute e benessere
  • Istruzione di qualità e parità di genere
  • Crescita economica e lavoro dignitoso
  • Riduzione delle disuguaglianze e promozione di consumi e produzioni sostenibili
  • Rafforzamento delle partnership per lo sviluppo
  • Ending poverty and hunger

Tensioni a Baku

Nel frattempo, le conferenze annuali delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP), centrali per la diplomazia climatica, continuano a influenzare il dibattito politico e a generare tensione — come avvenuto recentemente a Baku, dove l'attenzione si è concentrata sul settore della finanza climatica, con l’impegno di destinare 300 miliardi di dollari l’anno entro il 2035 ai Paesi del Sud globale (attraverso una combinazione di sovvenzioni, prestiti e fondi delle banche di sviluppo). Può sembrare una cifra imponente, ma è poca cosa se confrontata ai 5-7 bilioni di dollari che ogni anno i governi di tutto il mondo destinano in sussidi al settore dei combustibili fossili. I 300 miliardi promessi risultano infatti “drammaticamente insufficienti” rispetto ai bilioni necessari per affrontare in modo efficace la crisi ambientale.

La COP29 di Baku ha suscitato rabbia e frustrazione, poiché le misure adottate a metà — secondo quanto riportato dal Guardian. “scaricano i costi della crisi climatica su coloro che ne sono meno responsabili ma che ne subiscono le conseguenze peggiori”. Il vertice è stato segnato da carenze diplomatiche e politiche, tra cui le accuse da parte di organizzazioni per i diritti umani secondo cui il governo azero avrebbe represso attivisti ambientali e messo a tacere il dissenso politico. Si tratta della terza occasione in cui un Paese ospitante è accusato di repressione e di minare il diritto alla protesta.

 

Il ruolo dell’IPCC

Un altro attore chiave nella governance climatica globale è il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC), fondato nel 1988 dalle Nazioni Unite. La sua missione è fornire valutazioni scientifiche rigorose sugli effetti e i rischi del cambiamento climatico, oltre a proporre strategie di mitigazione e adattamento. L’IPCC lavora attraverso tre gruppi: il primo si occupa delle basi scientifiche del cambiamento climatico, il secondo dei suoi impatti e della vulnerabilità, e il terzo delle soluzioni di mitigazione. Pur dichiarandosi “politicamente rilevante ma non prescrittivo”, i suoi rapporti hanno influenzato decisioni politiche fondamentali, come la transizione dai combustibili fossili concordata alla COP28 di Dubai. 

 

Controversy surrounding the IPCC 7th Assessment Report
La più recente sessione dell’IPCC si è tenuta a Hangzhou, in Cina, nel febbraio 2025, per discutere il settimo Rapporto di Valutazione (AR7), le cui modalità e tempi di pubblicazione restano in sospeso. La riunione è stata segnata da forti controversie, con diversi paesi che spingevano affinché il gruppo affrontasse metodi privi di validazione scientifica di geoingegneria marina, come l’introduzione di materiali alcalini negli oceani per aumentarne il pH e migliorarne la capacità di assorbire CO₂. Una tecnologia dai potenziali rischi elevati e dagli effetti collaterali ancora ignoti, che ha spinto molti governi a bloccarne l’inclusione nei lavori dell’IPCC..

 

“La neutralità politica potrebbe non essere più un’opzione”

Negli ultimi anni, l’IPCC ha cercato di includere voci più diversificate, tra cui esperti indigeni, scienziati e attivisti del Sud globale. Tuttavia, queste rimangono ancora in minoranza, con il rischio concreto di perpetuare disuguaglianze e ingiustizie sistemiche. Inoltre, la posizione di neutralità politica dell’IPCC e l’obbligo del consenso hanno spesso portato a trascurare e evitare il dissenso.

Con l’avvicinarsi della prossima COP a Belém, in Brasile, la governance climatica globale si trova a un punto di svolta. A oltre cinquant’anni dalla conferenza di Stoccolma, le strutture per una cooperazione internazionale sul clima sono ormai consolidate. Tuttavia, permangono profonde tensioni politiche, scientifiche ed etiche, e l’inclusione di voci diverse è ancora un processo in corso—con implicazioni concrete per l’equità e la giustizia ambientale.

La capacità della governance globale di rispondere alla natura politica della crisi ambientale dipenderà dalla volontà dei paesi di abbracciare azioni trasformative e mettere al centro del dibattito le voci più marginalizzate ed escluse. In un’epoca definita da crisi multiple, il futuro della governance climatica potrebbe dipendere non solo dalla scienza, ma da chi ha il diritto di parlare—e da chi, finalmente, verrà ascoltato.



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